FIRENZE

15 e 16 ottobre 2005

 

Sveglia al mattino verso le 09.00 ed improvvisa voglia di un week end lontano da casa.

Fra le tante opzioni a nostra disposizione optiamo per la città di Firenze, che abbiamo già visitato in passato, ma che desideriamo rivedere.

Programma del week end è di vedere Firenze “dal fuori”, sia per problemi di tempo che per il fatto che buona parte dei monumenti (Uffizi, Palazzo Pitti e Giardino di Boboli) li abbiamo già visti in precedenza (2001).

Decisione presa e, dopo aver buttato un cambio in valigia, prendiamo la nostra Focus e via in direzione di Firenze.

Nostra meta è la piazza di fronte alla stazione di Santa Maria Novella dove dalla nostra guida sembra si trovi un ufficio turistico.

Lasciamo la nostra auto nel parcheggio a pagamento (ovviamente esageratamente caro) sotto la Stazione di Santa Maria Novella ed usciamo alla ricerca dell’Ufficio Turistico. Per prima cosa, però, cerchiamo un posto dove pranzare e proprio di fronte a noi troviamo il Pastarito, un ristorante dedicato esclusivamente al mondo della pasta.

“Riempiti” gli stomaci, ci dirigiamo verso l’ufficio turistico dove però un’addetta veramente gentile ci comunica che l’ufficio non effettua il servizio di prenotazione degli hotel e ci indirizza ad un’agenzia di viaggi al binario numero 5 della stazione.

Accettiamo il primo hotel che ci viene proposto anche se due stelle perché dotato di parcheggio, cosa non semplice da trovare in Firenze e visti i prezzi dei parcheggi a pagamento. Guidati dal nostro Navman giungiamo in poco tempo al nostro hotel e, dopo avere sistemato il nostro piccolo bagaglio.

L’hotel si trova a pochi minuti a piedi dal Ponte delle Grazie e da qui iniziamo la riscoperta di Firenze.

Prima meta del nostro pomeriggio è Piazza Santa Croce su cui si affaccia la straordinaria e bellissima omonima basilica, che in passato non ci sembra di aver visitato.

Il grande spazio rettangolare di piazza Santa Croce è il frutto di un intervento urbanistico del Due - trecento e rivela ancora oggi l'origine medievale in molti degli edifici che sorgono lungo il suo perimetro. Di epoca più tarda sono però i due palazzi più famosi: Palazzo Cocchi-Serristori, originale adattamento di una casa trecentesca al numero civico 1 e il Palazzo dell'Antella appartenuto alla famiglia dei Cerchi (numero civico 21-23), leader del partito dei guelfi bianchi.

Ma la piazza è dominata dalla Basilica di Santa Croce eretta fra il 1294 e il 1443 sull'area dove sorgeva un piccolo oratorio francescano le cui origini risalgono al 1225. Il nuovo progetto fu commissionato ad Arnolfo di Cambio, il geniale architetto capo del Comune a cui, subito dopo, sarebbero state affidate dalla città anche le costruzioni del nuovo Duomo e del Palazzo della Signoria.

La facciata è, invece, opera ottocentesca, realizzata dall'architetto Niccolò Matas fra il 1857 e il 1863. Accanto, sull'angolo del sagrato che costeggia via San Giuseppe, si trova una statua di Dante Alighieri scolpita nel 1865 da Enrico Pazzi. Anche il campanile è recente: lo ha ricostruito Gaetano Baccani nell'800 dopo che quello antico era stato abbattuto da un fulmine nel 1512. Da via San Giuseppe si accede alla Basilica al costo di 4 euro per persona. Decidiamo di visitarla all’interno perché nella nostra vacanza precedente non eravamo entrati.

La pianta è a croce egizia con tre navate (lunghe metri 114,45), un coro e un transetto fitto di cappelle appartenute alle famiglie più illustri del quartiere: Bardi e Peruzzi, ma anche Tosinghi, Pulci, Rinuccini, Alberti... Le pareti di queste cappelle e dell'intera chiesa sono coperte di affreschi, tutti opera di Giotto o dei suoi allievi, facendo della basilica un museo della pittura fiorentina del Trecento. Gli stessi artisti disegneranno anche le bellissime e luminose vetrate.

Nel corso degli anni la chiesa subisce diversi rimaneggiamenti per opera di Cosimo "il Vecchio" de' Medici e di Andrea de' Pazzi. Al primo si deve la Cappella del Noviziato, accanto alla sacrestia, costruita nel 1434-45 da Michelozzo e decorata da Andrea della Robbia e Mino da Fiesole; al secondo la Cappella Pazzi, nel primo chiostro, o Chiostro dei Morti, progettata da Filippo Brunelleschi e iniziata intorno al 1430.

Al disegno del Brunelleschi si deve anche il secondo chiostro del Convento, o Chiostro Grande, realizzato da Bernardo Rossellino con un portale di accesso di Benedetto da Maiano.

Nel ‘500 Giorgio Vasari "riammodernava" la basilica per volere del granduca Cosimo I de' Medici. Si costruivano cosi’ i grandi altari addossati alle navate laterali, tutti arricchiti da dipinti devozionali realizzati dai migliori pittori fiorentini dell'epoca.

Numerose nella Basilica anche le sculture. Fra le più celebri ricordiamo il Crocifisso di Donatello del 1425 nella Cappella Bardi nel transetto sinistro e la sua aristocratica Annunciazione in pietra serena lumeggiata d'oro.

Ma la chiesa è, soprattutto nota, per essere il Pantheon cittadino, luogo di sepoltura dei fiorentini più illustri tanto che si contano addirittura 276 lastre tombali. Qui giacciono fra gli altri Michelangelo (tomba del Vasari, 1570), Galileo Galilei (tomba del Foggini, 1737), Vittorio Alfieri (tomba del Canova, 1810). E' solo un cenotafio il monumento a Dante Alighieri (S. Ricci, 1829), le cui spoglie sono conservate,invece, a Ravenna.

A destra della Basilica, nel primo chiostro del Convento, o Chiostro dei Morti, si aprono la Cappella Pazzi (1430-45 circa), piccolo capolavoro di Filippo Brunelleschi, e il Museo dell'Opera di Santa Croce, ospitato nel Refettorio e in altri locali del Convento. Qui si conservano il celebre Crocifisso di Cimabue (circa 1270, documentato nel 1288) gravemente danneggiato dall'alluvione del 1966, e il grande affresco di Taddeo Gaddi (1333) con l'Albero della Croce e l'Ultima Cena.

Proseguiamo poi verso il centro per eccellenza della città: Piazza della Signoria.

Piazza della Signoria, cuore politico della città dal Medioevo ad oggi, è una singolare creazione urbanistica che comincia a prendere forma a partire dal 1268, quando il partito dei Guelfi riprese il controllo sulla città e decise di radere al suolo le case dei rivali Ghibellini. Alla fine le case abbattute saranno ben 36 e da questa "cancellazione" dei nemici la piazza deriva la sua particolare conformazione a forma di "L" e la posizione non allineata degli edifici che la delimitano.

Il nome le viene invece dal principale fra i monumenti che ospita, Palazzo della Signoria, progettato nel 1298-99 e terminato nel 1302 da Arnolfo di Cambio come sede del governo della Repubblica e destinato ad ospitare il Gonfaloniere di Giustizia e i Priori delle Arti. Questa funzione di rappresentanza politica della città sarà conservata dal palazzo anche sotto la Signoria medicea e poi sotto il duca Cosimo I, che vi abiterà fra il 1540 e il 1565 ordinando al suo architetto di fiducia Giorgio Vasari il raddoppio dell'edificio.

Nel 1565, quando la famiglia del Granduca si trasferirà nella nuova reggia di piazza Pitti, Palazzo della Signoria finirà per essere conosciuto come Palazzo Vecchio.

Ma la piazza non è solo il centro "civile" di Firenze, bensì un vero museo all'aperto. Sul fianco sud, quello verso l'Arno, si apre il piazzale degli Uffizi e, subito accanto, si offre allo sguardo la Loggia dei Lanzi (1376-1382), sotto le cui volte tardo gotiche si raccolgono 15 statue fra cui lo straordinario Perseo con la testa di Medusa di Benvento Cellini.

La piazza è adornata da statue che meritano un discorso a sé. Oltre a quelle schierate lungo la facciata di Palazzo Vecchio (fra cui la copia del David di Michelangelo) si notano la Fontana di Nettuno dell'Ammannati e la statua equestre di Cosimo I del Giambologna. Poco distante, un disco di marmo sul pavimento della piazza ricorda il punto esatto in cui il 23 maggio 1498 fra' Girolamo Savonarola fu bruciato sul rogo.

Attorno alla piazza sorgono una serie di abitazioni dei secoli XIV-XVI fra cui il Tribunale della Mercanzia (1359, antica corte di giustizia in materia commerciale), e il cinquecentesco Palazzo Uguccioni, la cui facciata fu forse disegnata da Raffaello. Infine il grande palazzo delle Assicurazioni Generali, costruito nel 1871 in stile rinascimentale sul luogo dove sorgevano l'antica Loggia dei Pisani e la chiesa di Santa Cecilia.

Ma il gioiello della piazza è l’omonimo palazzo.

Il Palazzo della Signoria, o Palazzo Vecchio, come lo vediamo oggi è il frutto di almeno tre fasi costruttive succedutesi nell'arco dei secoli XIII-XVI: il palazzo di Arnolfo, col fronte sulla piazza, le modifiche ancora in epoca repubblicana e infine la ristrutturazione vasariana, successiva alla presa di potere da parte di Cosimo I de' Medici, che vi si trasferì con tutta la famiglia.

Dal 1565 il ruolo esclusivo di Palazzo Vecchio come rappresentanza politica della città verrà meno per tre secoli, sostituito dagli Uffizi e da Palazzo Pitti, ma riprenderà vigore nel 1848 quando sarà la sede del governo provvisorio dell'Italia Unita e fra il 1865 e il 1871 ospiterà la Camera dei Deputati . Dal 1872, infine, tornerà ad essere sede del Comune.

Benché il palazzo ospiti gli uffici del Comune, resta comunque in gran parte visibile. Sono accessibili al pubblico il Salone dei Cinquecento, lo Studiolo di Francesco I e i quattro appartamenti monumentali: il Quartiere degli Elementi, il Quartiere di Eleonora di Toledo, la Residenza dei Priori e il Quartiere di Leone X, dove sono oggi le stanze di rappresentanza del sindaco e della giunta che governa la città. Il Salone dei Dugento è tornato a ospitare le sedute del consiglio comunale e perciò non sempre è aperto al pubblico.

Da Piazza della Signoria ammiriamo poi il bellissimo palazzo che ospita la Galleria degli Uffizi, il museo più bello e più visitato di Firenze. La Galleria degli Uffizi è stata anche il primo museo accessibile al pubblico: fin dal 1591 era visibile a chiunque ne facesse richiesta al Granduca. Con i suoi quattro secoli di storia, gli Uffizi sono da considerarsi il più antico museo del mondo. Gli Uffizi ospitano, su una superficie di circa 8.000 mq, una delle più importanti collezioni artistiche di tutti i tempi, comprendente sculture antiche e dipinti su tavola e tela di scuole italiane e straniere dal XIII al XVIII secolo.

Il Palazzo, iniziato da Giorgio Vasari nel 1560 e completato dal Buontalenti, che vi ideò la celebre Tribuna, fu concepito da Cosimo I de' Medici come sede degli uffici amministrativi di Stato, per i quali Palazzo Vecchio era diventato troppo piccolo. Ad iniziare la trasformazione in museo fu invece suo figlio Francesco I che, nel 1581, fece chiudere con grandi finestroni la Galleria del secondo piano e vi raccolse parte delle collezioni granducali di statue antiche, medaglie, gioielli, armi, quadri e strumenti scientifici.

Instancabili collezionisti, i Medici arricchirono costantemente la Galleria: tra gli ingressi più cospicui quelli dovuti all'eredità di Vittoria della Rovere, moglie di Ferdinando II, e agli acquisti del cardinale Leopoldo de' Medici, grazie al quale furono gettate le basi del Gabinetto Disegni e Stampe (al primo piano degli Uffizi, dove un tempo sorgeva il Teatro di Corte costruito da Bernardo Buontalenti) e della raccolta di Autoritratti oggi esposti nel Corridoio Vasariano che unisce gli Uffizi alla reggia di Palazzo Pitti.

Alla morte dell'ultimo granduca Medici la sorella Anna Maria Ludovica riuscì a impedire la dispersione del patrimonio artistico lasciando tutto in eredità non ai successori della casa Asburgo - Lorena bensi’ alla città stessa di Firenze "per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei forestieri". Questo documento risulterà fondamentale anche per ottenere la restituzione delle opere prelevate e trasportate a Parigi in epoca napoleonica.

Più volte ristrutturata e riordinata nei secoli secondo il gusto culturale delle varie epoche, la sede espositiva comprende oggi 45 sale con circa 1.700 dipinti, 300 sculture, 46 arazzi, 14 fra mobili e ceramiche. Le opere di proprietà degli Uffizi sono in realtà circa 4.800: le rimanenti si dividono fra i depositi e i prestiti ad altri musei. Usciti dal cortile del palazzo si arriva sul lungarno è si può cosi’ ammirare il monumento più fotografato della città: il Ponte Vecchio, ponte più antico di Firenze.

Costruito in legname prima del Mille in epoca romana, dove l'alveo dell'Arno era più stretto, successivamente venne edificato in muratura ma fu distrutto da una grande piena nell'ottobre del 1177. Ricostruito con alcune botteghe in legno sopra le arcate, fu devastato due volte da violenti incendi nel 1222 e nel l322. Sempre prontamente restaurato, fu distrutto dalla furia del fiume nella tragica alluvione del 1333 unitamente a tutti gli altri ponti cittadini.

Fu ricostruito nel 1345 su tre archi con l'attuale architettura, sotto la direzione di Taddeo Gaddi discepolo di Giotto, in maniera molto più solida e con campate ben delineate tali da consentire il passaggio di una grande quantità d'acqua, in modo e da sopportare le piene del fiume cittadino. Agli angoli del ponte vi erano quattro torri (due per sponda) dalle quali partivano dei portici contrapposti, coperti e merlati, che si interrompevano al centro. Oltre alla robustezza ed alla funzionalità del deflusso idrico, il ponte fu caratterizzato proprio dalla presenza di questi portici (poi chiusi per ricavarne le casette e le botteghe, che lo resero famoso) costruiti ai bordi della carreggiata, come se si trattasse del proseguimento della strada.

Nel 1442 l'autorità cittadina per salvaguardare la pulizia e le più elementari norme igieniche, impose ai beccai (macellai) di riunirsi nelle botteghe sul Ponte Vecchio per renderli isolati dai palazzi e dalle abitazioni del centro. La disposizione mirava soprattutto ad eliminare le consuete, maleodoranti tracce lasciate dai barroccini dei beccai lungo le strade fino all'Arno durante il trasporto degli scarti delle lavorazioni delle carni, scarti che potevano ora disperdersi direttamente, senza alcun danno, nella sottostante corrente del fiume. Da quel momento il ponte divenne il mercato della carne ed i beccai, passati in seguito proprietari delle botteghe, per ottenere più spazio, vi aggiunsero in modo disordinato delle stanzette sul fiume puntellandole con pali di legno.

I macellai fecero e disfecero a loro piacimento fino a che la Signoria, nel 1593, diede loro lo sfratto concedendo quelle botteghe ai più decorosi ed ordinati orafi. In tali spazi tuttora valenti artigiani orefici e gioiellieri continuano il tradizionale lavoro di preziosi, conosciuto e stimato da tutti. In onore dell'oreficeria, nell'Ottocento, fu posto nella terrazza in mezzo al ponte da dove si gode la vista dell'Arno e degli altri ponti, una fontanella con il busto in bronzo del grande maestro Benvenuto Cellini, opera dello scultore Raffaello Romanelli.

Superato il Ponte Vecchio ci avviamo verso Palazzo Pitti, altro palazzo già visitato in passato ma che vogliamo vedere almeno esternamente.

L'area in pendio che forma la piazza Pitti è chiusa per tre lati dall'abbraccio del Palazzo, che i fiorentini non hanno mai voluto chiamare Palazzo Reale, benché l'edificio abbia ospitato le varie dinastie regnanti (Medici, Lorena, Borbone, Bonaparte, Savoia) fin da quando, nel 1550, la duchessa Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, lo acquistò da Buonaccorso Pitti per farne la nuova dimora della famiglia Medici.

Il progetto della costruzione, voluto dal mercante Pitti, prima amico e poi rivale di Cosimo "il Vecchio", risale a Filippo Brunelleschi, a cui il Pitti lo commissionò verso il 1440. Negli stessi anni Cosimo "il Vecchio" faceva realizzare a Michelozzo il Palazzo Medici di via Larga scartando un precedente progetto di Brunelleschi, ritenuto tanto sfarzoso da suscitare l'invidia dei concittadini. Evidentemente il Pitti non aveva le stesse remore e volle per sé il più geniale architetto del tempo ordinandogli anche, secondo la leggenda, di disegnare finestre grandi quanto le porte del Medici e un cortile interno che potesse contenere l'intero palazzo di via Larga.

La struttura del Brunelleschi rispecchia il modello di palazzo rinascimentale: un cubo la cui altezza sia pari alla profondità, e rivestito da quel "bugnato rustico" (pietre sfaccettate) tipicamente fiorentino e tratto dalle cave della stessa collina di Boboli. La superficie é suddivisa in tre piani, con tre portali e sette finestre per lato. Un balcone attraversa l'intera facciata collegando le finestre mentre, sotto il tetto, viene eretta una loggia di coronamento. Il gioiello del palazzo, oltre ai suoi meravigliosi interni, è l’annesso Giardino di Boboli. Questi giardini furono aggiunti solo in seguito all’acquisizione di Palazzo Pitti da parte della famiglia Medici. La fama del Giardino di Boboli nasce comunque con i Medici, che chiamano a progettarlo Niccolò Pericoli, detto il Tribolo, artista che già aveva dato prova delle sue qualità realizzando i giardini delle ville medicee di Castello e della Petraia. Fra il 1550 e il 1558, anno in cui muore, il Tribolo crea in Boboli il suo capolavoro di "architettura verde". Modello per tutti i giardini reali d'Europa compreso Versailles, il parco viene arricchito dalle invenzioni manieriste del Buontalenti (ad esempio la Grotta Grande), dalle fontane e dalle statue di Ammannati, Giambologna e Tacca e infine completato da Giulio e Alfonso Parigi. I due architetti, padre e figlio, realizzano l'Anfiteatro in pietra, sede privilegiata di celebri spettacoli, il viale detto "Viottolone" e il piazzale con la vasca dell'Isolotto. Gli ultimi inserimenti, come il Kafeehouse), il Prato delle Colonne e la Limonaia, si devono ai Lorena, che nell'Ottocento trasformano poi alcune zone secondo il nuovo gusto romantico del "giardino all'inglese". Dal 1776, per volere di Pietro Leopoldo, il giardino viene aperto al pubblico. Sulla sommità della collina, vicino al Forte Belvedere, è il Giardino del Cavaliere, luogo appartato e segreto nella cui Palazzina ha sede oggi il Museo delle Porcellane.

Terminata la nostra passeggiata ritorniamo verso il nostro hotel percorrendo il lungarno ed ammirando lo spettacolo offerto dalla città al tramonto.

Una bella doccia e poi via alla ricerca di un posto per cenare. Fra le diverse opzioni scegliamo una trattoria toscana dove degustiamo degli ottimi piatti tipici toscani. Unica pecca di questo ristorante è il caffè, che ci viene servito: non è il solito espresso, ma è Nescafè. Proseguiamo la serata passeggiando per il centro di Firenze scovando ottimi scorci per fotografie in notturna.

Ritorniamo nel nostro hotel per la notte.

Il mattino seguente lasciamo l’hotel e, dopo la colazione, riprendiamo la nostra scoperta della città. Prima meta della mattina è il Duomo con il Battistero ed il Campanile di Giotto.

Due piazze distinte ma comunicanti costituiscono la grande area rettangolare su cui sorgono il Duomo e il Battistero fiorentini: piazza del Duomo, tutta occupata dalla basilica di Santa Maria del Fiore e piazza San Giovanni con al centro il Battistero, probabilmente il primo edificio cristiano della città, costruito in epoca tardo-latina sulle rovine di un edificio romano, forse un tempio dedicato al dio Marte. L'aspetto attuale del Battistero, che lo ha reso punto di riferimento architettonico per gli artisti fiorentini di ogni tempo,risale ai secoli XI-XIII, quando furono completati il rivestimento esterno di marmo, l'interno e i mosaici della cupola. Le tre celebri Porte in bronzo dorato, fra cui quella detta "del Paradiso", furono invece fuse tra il 1330 e il 1452. La basilica che vediamo oggi è la quarta ricostruzione di quel primo tempio ed è basata sul progetto di Arnolfo di Cambio e coronata dalla cupola del Brunelleschi, vero simbolo del Rinascimento. Le due chiese, legate fin dalle origini, sono tutt'oggi un unico centro di culto: talune funzioni cominciano in Battistero e finiscono in Duomo. A destra della facciata del Duomo si alza per 85 metri il Campanile di Giotto, progettato dall’artista negli ultimi tre anni della sua vita (1334-1337) e completato poi da Andrea Pisano e da Francesco Talenti, che nel 1359 lo terminò chiudendolo con una originale terrazza.

Da osservare nella piazza anche la Loggia del Bigallo con il suo Museo.
Sul retro del Battistero è infine il Palazzo Arcivescovile, anch'esso più volte ricostruito su resti di edifici antichi. L'edificio attuale è del XVI secolo. Nel cortile si trovano i resti di San Salvatore al Vescovo, piccola chiesa del 1032 ricostruita nel 1221, la cui facciata romanica a intarsi di marmo è ancora visibile nella retrostante piazza dell'Olio.

Essendo domenica mattina e con le celebrazioni religiose in corso non è possibile visitare il Duomo al suo interno se non per qualche minuto che ci permette di ammirare ancora la bellissima cupola che, nel precedente viaggio, abbiamo visto anche da vicino salendo sulla cupola.

Proseguiamo la nostra visita alla città con la Basilica di SS.ma Annunziata, che in precedenza non avevamo visto. Sorge su un preesistente oratorio dei Servi di Maria nato, intorno a un'immagine miracolosa dell'Annunziata, per volontà di sette nobili giovani che qui si consacrarono alla vita monastica rinunciando alla mondanità. Essi fondarono in seguito il Monastero di Monte Senario, dopo Fiesole. Il corpo principale della Chiesa, iniziato nel 1440 da Michelozzo e Pagno Portigiani, fu poi riveduto dall'Alberti, che vi lasciò la poderosa Tribuna visibile dal lato destro. Dalla sobria facciata sulla piazza, ornata dalle armi di papa Leone X de Medici affrescate dal giovane Pontormo, si accede a tre ambienti: a destra la Cappella dei Pucci o di San Sebastiano, a sinistra il Chiostro dei Morti, ampio e affrescato fra gli altri da Andrea del Sarto e al centro il Primo Chiostro, o Chiostrino dei Voti, totalmente affrescato dai maestri della pittura fiorentina manierista del primo '500: Rosso Fiorentino, Pontormo, Franciabigio e Andrea del Sarto. Ultima visita alla città è la Chiesa di Santa Maria Novella, che non abbiamo potuto visitare causa celebrazioni in corso.

Santa Maria Novella è la prima, in senso cronologico, delle grandi basiliche fiorentine. Il nome "Novella" le viene dall'aver sostituito sulla piazza un oratorio del IX secolo, già ingrandito nel 1094, chiamato Santa Maria delle Vigne. Nel 1221 questa chiesa e l'area circostante vengono assegnati ai frati domenicani, che ne iniziano la trasformazione. La costruzione di quella che sarà la sontuosa sede del potente Ordine domenicano inizia nel 1246 ad opera di due monaci architetti e viene conclusa nel 1360 sotto la direzione di fra Iacopo Talenti.

La ricca facciata con intarsi di marmo bianco e nero è un capolavoro: iniziata nel 1300, sarà poi completata nel 1470 da Leon Battista Alberti. L'interno della Basilica ospita una serie di opere che portano la firma fra gli altri di Giotto, Orcagna, Brunelleschi, Masaccio, Domenico Ghirlandaio e Filippino Lippi. Nei Chiostri sono visibili affreschi di Paolo Uccello e della scuola fiorentina dal XIII al XV secolo.

Decidiamo di proseguire la nostra visita al Piazzale Michelangelo, la “terrazza” di Firenze.

Raggiungiamo il piazzale con la nostra auto per poi riprendere la via di casa. Il piazzale però può essere raggiunto anche a piedi tramite un percorso scenografico ideato dall'architetto Poggi negli anni in cui Firenze fu capitale del Regno d'Italia. Il progetto costituisce la prosecuzione, sulle colline a sud della città, dei viali di circonvallazione che il Poggi realizzò abbattendo ciò che restava della terza cerchia delle mura fiorentine. Dalla distruzione si salvarono solo alcune delle antiche Porte di accesso alla città lasciate dal Poggi al centro delle piazze che andava costruendo lungo i viali e tuttora visibili.

Raggiunto il piazzale ecco uno dei più famosi e meravigliosi panorami urbani del mondo: con un unico sguardo si può abbracciare il cuore di Firenze, dal Forte Belvedere a Santa Croce passando per Ponte Vecchio, Duomo, Uffizi, Palazzo della Signoria, Bargello etc. Alzando gli occhi, ecco di fronte le colline a nord della città con al centro Fiesole e il campanile svettante del suo Duomo.

Il nome del piazzale deriva dalla grande statua in bronzo collocata dal Poggi, vero "pastiche" michelangiolesco composto dalle copie del David e delle quattro figure allegoriche eseguite su commissione di papa Clemente VII per le tombe medicee della Sacrestia Nuova di San Lorenzo .Alle spalle, quasi appoggiata alla collina, il Poggi progettò una Loggia che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto ospitare un museo di tutte le opere di Michelangelo, ma che è invece sempre stata utilizzata come caffè e ristorante.

Decidiamo di pranzare al bar proprio sotto il piazzale per poter ammirare ancora un poco lo splendido panorama cittadino.

Dopo pranzo saliamo alla Basilica di San Miniato costruita in onore proprio di San Miniato, primo evangelizzatore e martire cristiano fiorentino.

La costruzione del tempio, che resta il più bell'esempio di puro romanico fiorentino, ebbe inizio nel 1018 per volere del vescovo Ildebrando e proseguì fino al 1207. La facciata fu realizzata in marmo bianco di Carrara e verde di Prato e divisa in due ordini raccordati fra loro da tarsie di forma romboidale che alludono all'opus reticolatum, la tessitura muraria romana tipica dell'età imperiale, la stessa ripresa da Leon Battista Alberti nel basamento di Palazzo Rucellai.

L'ordine superiore è sormontato da un mosaico su fondo oro del XIII secolo raffigurante Cristo in trono benedicente tra Maria e Miniato. In alto, sopra il frontone, una grande aquila in rame dorato ci ricorda l'Arte di Calimala, amministratrice fin dal 1288 dei beni del convento benedettino. La spettacolare facciata di San Miniato ispirò nel Quattrocento l'Alberti per il completamento di quella di Santa Maria Novella e nell'Ottocento il rivestimento delle facciate del Duomo e di Santa Croce. I vivaci giochi di luce del sole sull'esterno del monumento valgono già da soli la gita fuori porta.

A destra, guardando la chiesa, c'è il Palazzo dei Vescovi ora abitato dai monaci olivetani che si fanno carico anche della gestione della basilica. A sinistra rimangono i resti degli antichi bastioni, con la torre campanaria di Baccio d'Agnolo che pare quasi un frammento di fortificazione romana. Questo campanile, costruito in luogo dell'originale crollato nel 1499 e rimasto incompiuto, fu sfruttato durante l'assedio del 1529 su suggerimento di Michelangelo.

L'interno è a tre navate, con un prezioso pavimento centrale a intarsio marmoreo decorato da Simboli dello Zodiaco. Il Presbiterio sopraelevato è formato da un raro complesso scultoreo romanico - toscano di ispirazione classica: altare, recinto a transenne marmoree e pulpito quadrangolare con leggio sorretto dall'aquila di San Giovanni Evangelista. Nel Coro un mosaico con Cristo in trono benedicente. Sotto il Presbiterio una cripta con 36 agili colonne di provenienza varia e la volta affrescata con Santi e Profeti da Taddeo Gaddi. Qui furono deposte nel 1013 le spoglie di San Miniato. Davanti, al centro della navata maggiore, la bellissima e raffinata Cappella del Crocifisso, edicola marmorea rinascimentale eseguita da Michelozzo per volontà di Piero de Medici come custodia del venerato Crocifisso detto di San Giovanni Gualberto.

La navata destra contiene, fra affreschi dei secoli XIV e XV, i resti di San Miniato, un altare con tavola cuspidata, capolavoro di Jacopo del Casentino, e l'ingresso alla Sagrestia, affrescata da Spinello Aretino con le Storie di San Benedetto, forse l'opera più importante di questo autore. Nella navata sinistra la rinascimentale Cappella del Cardinale del Portogallo, edificata dal Manetti, allievo del Brunelleschi, per Jacopo di Lusitania, cardinale arcivescovo di Lisbona morto a Firenze nel 1459. Ha nella volta cinque medaglioni del Della Robbia e contiene un'Annunciazione a fresco di Alessio Baldovinetti, una tavola ed affreschi di Angeli volanti dei Pollaiolo. Il monumento funebre fu scolpito in marmo da Antonio Rossellino.

Nel chiostro, infine, un contributo del grande Paolo Uccello: i resti degli affreschi delle Scene della vita dei Santi Padri, dipinti nella loggia superiore. Fuori dalla Basilica si trova il Cimitero Monumentale, detto "delle Porte Sante" realizzato nel secolo scorso sull'area conventuale, all'interno del recinto fortificato ideato da Michelangelo nel 1529. Esso ospita i resti di molte celebrità come Papini, Montale, Stibbert, Villari, Lorenzini (detto "il Collodi", il creatore di Pinocchio). Le numerose cappelle di famiglia della borghesia fiorentina rappresentano un vero repertorio dell'architettura cittadina coeva: liberty, art decò, razionalismo, architettura organica.

Ultima meta è la Certosa di Firenze, che si trova proprio in prossimità dell’ingresso dell’autostrada.

Il complesso monumentale è situato sulla sommità di Monte Acuto, detto anche “Monte Santo”, un colle di forma conica situato nelle vicinanze dell’abitato di Galluzzo, paese a sud di Firenze.

Il complesso monastico fu voluto da Niccolò Acciaioli, personaggio di spicco dell’ambiente politico ed economico trecentesco. Appartenente ad una delle famiglie di banchieri più ricche di Firenze, raggiunse l’apice del potere nel Regno di Napoli, presso la corte angioina. I primi documenti in cui Niccolò esprime la volontà di fondare un monastero dedicato a San Lorenzo Martire, risalgono al 1338. Nei passi del testamento è esplicita la preferenza per l’ordine certosino, atteggiamento dovuto ai suoi stretti rapporti con la corte angioina.

Infatti, gli Angiò dettero un grosso impulso alla diffusione dell’ordine certosino, finanziando la costruzione di varie certose nel Regno. Seguendo l’esempio di questi, Niccolò Acciaioli decise di fondarne una anche nella sua città natale. Bisogna tener conto, inoltre, del notevole prestigio che l’edificazione di una certosa conferiva sia nell’ambito della corte angioina che in quello della corte pontificia. Fu durante un soggiorno a Firenze che fu stilata la carta di donazione delle terre su cui doveva sorgere il monastero e le rendite necessarie sia per la costruzione del complesso che per la sopravvivenza dei monaci. Nel documento vengono esposti i caratteri essenziali del complesso architettonico. Si tratta della descrizione di un tipico monastero certosino, che doveva accogliere 12 monaci, un priore e un piccolo gruppo di conversi. Vista la vicinanza alla città, le terre assegnate alla Certosa non sono molto estese ma sufficienti a garantire la vita della comunità. Proprio la sua posizione, anomala e originale rispetto a quella delle certose costruite fino a questo periodo, distingue il monastero fiorentino.

Il luogo fu scelto perché la posizione elevata del monastero e la presenza ai piedi della collina dei due torrenti, la Greve e l’Ema, garantivano l’isolamento necessario alle regole di vita della comunità certosina. Inoltre, visto che dalla cima della collina si dominavano le vallate circostanti, era un luogo ideale anche dal punto di vista difensivo: la costruzione, arroccata nel punto più alto, sarebbe risultata facilmente difendibile dalle frequenti incursioni degli eserciti impegnati nelle continue guerre che Firenze sosteneva contro le città e gli stati vicini.

Nell’atto Niccolò riconobbe l’autonomia dei monaci, per quanto riguardava la scelta dei caratteri architettonici della costruzione; le indicazioni presenti, infatti, rispecchiano fedelmente lo schema tipico delle certose, che nel Trecento aveva raggiunto una notevole regolarità. Alla morte di Niccolò Acciaioli la Certosa era quasi completa in tutta la sua struttura; la comunità religiosa eseguì solo le volontà testamentarie che interessavano la vita monastica: realizzarono la cappella delle reliquie, finirono la cappella e le tombe degli Acciaioli e ingrandirono il Chiostro grande. Invece lasciarono inattuate quelle volontà che avrebbero favorito attività secolari e che avrebbero interferito con la vita claustrale degli eremiti. La maggior parte dei finanziamenti per la costruzione della Certosa era dovuta a Niccolò Acciaioli, quindi dopo la sua morte le sovvenzioni esterne cessarono; i figli non poterono seguire l’esempio paterno, in quanto, non più sostenuti dall’aiuto del padre e caddero ben presto in disgrazia. Gran parte delle ricchezze, accumulate nel monastero grazie a lasciti di membri della famiglia Acciaioli e di ricchi fiorentini, furono utilizzate per l’acquisto di case e terre. Nonostante ciò, il monastero fu sottoposto ben presto a nuove modifiche e ampliamenti, tendenti ad arricchirlo e da aumentare la sua monumentalità. Nel Rinascimento, infatti, vennero realizzati quegli interventi che contribuirono a creare l’aspetto e la conformazione definitiva della Certosa. Il monastero subi’ grosse modifiche nelle sue parti principali in quanto i monaci desideravano adattare gli edifici del complesso ai nuovi canoni estetici dominanti, visto che non erano più costretti a rispettare minuziosamente le rigide imposizioni delle “Consuetudines”. Grazie ad una serie di priori illuminati e molto legati ai circoli culturali umanisti dell’epoca, la Certosa poté arricchirsi di notevoli opere d’arte e acquisire la maestosità e l’aspetto armonioso che ancora oggi la contraddistingue.

Durante il XV secolo fu ricostruito interamente il chiostro grande, mentre nel XVI secolo fu sistemata tutta la zona di entrata al monastero.

Durante il XVII e il XVIII secolo i monaci si occuparono della manutenzione e dell’abbellimento del complesso monumentale. Molti sono gli arredi e le opere d’arte che furono commissionate in questo periodo ad artigiani ed artisti sia fiorentini che di altre città. Il patrimonio pittorico e decorativo, una volta abbondantissimo come risulta dalle ricerche archivistiche, è oggi relativo, a causa di ripetuti saccheggi e trafugamenti. Infatti la Certosa rimase di proprietà dell’Ordine certosino fino all’ottobre del 1810, quando per volontà di Napoleone, vi furono trasferiti centocinquanta fanti francesi. Dopo la restaurazione del Granducato di Toscana i monaci poterono rientrare nel monastero e ottennero che varie opere d’arte fossero ricollocate nelle loro sedi primitive.

Da questo momento cominciò un nuovo periodo di interventi edilizi volti al restauro ed alla conservazione del complesso monumentale. Gli interventi edilizi si intensificarono dopo il 1866, anno in cui lo Stato Italiano entrò in possesso della Certosa. Le opere di restauro più importanti furono eseguite in due periodi: alla fine dell’ottocento, a seguito del terremoto del 1895, che distrusse parte del chiostro; e alla fine degli anni cinquanta, quando la Soprintendenza di Firenze organizzò un generale e completo restauro.

Questo ultimo intervento fu favorito anche dalla partenza dei Certosini, ai quali subentrarono i Cistercensi della congregazione di Casamari. Questa comunità, grazie alla propria regola monastica, ha potuto rendere il monastero più accessibile al mondo esterno e agli amanti della cultura e dell’arte.

Per visitare la Certosa è possibile seguire una visita guidata con un frate cistercense che illustra la storia dei diversi locali e le abitudini della vita in convento. La visita è gratuita, ma è preferibile versare una piccola offerta al termine. Alla fine della visita è possibile anche effettuare degli acquisti nel piccolo negozio, attiguo al monastero, gestito dagli stessi monaci.